23.1.20

Tiocfaidh ár lá


«Il nostro giorno verrà». E’ una frase pronunciata incessantemente da Bobby Sands, un ragazzo nato alla periferia di Belfast nel 1954, fin dalla sua maggiore età, ed è legata alla causa dell’indipendenza irlandese.
    Il nome Roibeard Gearóid Ó Seachnasaigh, versione in gaelico di Robert Gerard Sands, detto Bobby, potrà pur suonare poco familiare, ma la parabola di vita ed il messaggio di colui che fu definito l’allodola d’Irlanda, non può non suscitare riflessioni profonde.
    Il cuore di Bobby cessò di battere alle 1.17 di martedì 5 maggio 1981, dopo 66 giorni di sciopero della fame, nell’ospedale del carcere di Long Kesh, all’età di 27 anni.
    Una protesta non violenta, la sua, condotta ad oltranza contro le condizioni di vita riservate ai detenuti politici, rinchiusi nei Blocchi H, (così definiti perché costituiti da 8 edifici, appunto a forma di H, per isolare ed esercitare il massimo controllo sui prigionieri).
    Sono anni di lotta, a tutti i livelli, anche religioso (tra cattolici e protestanti). Sullo sfondo, le rivendicazioni di autonomia per il Nord Irlanda.
       La conflittualità è esasperata ed i picchi di violenza raggiunta rappresentano un affronto alla dignità umana.
    La popolazione carceraria non ne è immune, animata da dure rivolte, quali la blancket protest (rifiuto, per i prigionieri politici, di indossare la divisa carceraria dei detenuti comuni, restando con addosso solo una coperta) e la no wash protest (rifiuto di usufruire dei servizi, con immaginabili conseguenze in tema di pulizia e igiene).
    In un simile contesto di divisioni, Bobby trova, però, qualcosa che veicola emozioni, al tempo stesso accomunando: il gaelico e la musica.
    Impara la lingua gaelica e con essa, sconosciuta ai secondini inglesi, comunica con i suoi compagni (si dice appoggiandosi allo stipite della porta). Pure in gaelico scrive il suo diario, dovendo peraltro utilizzare tutta l’inventiva di cui dispone per far fronte alle ristrettezze impostegli dalla sua condizione: il refill di una biro, della carta igienica o cartine di sigarette. Alla stessa stregua compone dei messaggi clandestini, i c.d. “comms”, con cui condivide con il mondo esterno, non solo il resoconto delle violenze perpetrate all’interno di Long Kesh, ma il suo disperato anelito di libertà.
    Con la chitarra comporrà ballate popolari che superano i confini fisici delle sbarre, e non solo quelli. Due delle più famose: “Back Home in Derry” e “McIlhatton”, dopo la sua morte verranno fatte conoscere in tutto il mondo dal cantautore irlandese Christy Moore.
    Altri dieci compagni di Bobby conosceranno la sua stessa sorte nell'arco di pochissimo tempo, ma quel messaggio di libertà si diffonde in tutto il mondo, con manifestazioni singolari, esempio lampante di come un ideale possa unire persone assai distanti tra loro. Fra tutte spicca quella degli studenti di Teheran che, nel pieno della loro rivoluzione, decisero di cambiare il nome della via in cui si trovava l'ambasciata britannica: da Winston Churchill Street a Bobby Sands Street. La via porta ancora oggi tale nome.
    Dal punto di vista politico quel sacrificio non fu vano; molti infatti attribuiscono alla rinnovata consapevolezza popolare scaturita dalla morte di Bobby Sands l’ascesa dello Sinn Fein (il braccio politico dell’IRA) sino alla vittoria alle elezioni del 1984, primo passo verso la stipula dello storico accordo di pacificazione del 10 aprile 1998, più noto come Accordo del Venerdì Santo.
    Chissà, ad oggi, quanti ignari avventori all'interno di un pub posto in un angolo qualsiasi del globo, rimasti colpiti dalle note di un’orecchiabile ballata composta in una lingua sconosciuta,  avranno avvertito un moto dell'animo e si saranno interrogati sul perchè.




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