“Cara Wanda,
Chi scrive queste parole, nel 1980, è Pier Vittorio Tondelli, in una lettera indirizzata alla sua insegnante di liceo, che lo aveva contattato preoccupata per via delle tormentate vicende di carattere giudiziario sorte all’indomani della pubblicazione del libro “Altri libertini”.
Era infatti successo che il Tribunale dell’Aquila, con provvedimento a firma del Giudice Bartolomei, avesse disposto il sequestro della pubblicazione, ritenendola “opera luridamente blasfema”.
Una tale forma di damnatio memoriae -miope, anacronistica ed immotivata- non potè avere lunga vita ed il libro, ritornato ben presto ad essere fruibile, divenne un vero e proprio “caso letterario”.
Dopo “altri libertini”, termini come “giovanilismo” e “postmoderno” otterranno a pieno titolo cittadinanza ed avranno un senso più compiuto.
Sei racconti, messi insieme a mò di romanzo dal suo autore, in cui Tondelli, con mirabile sensibilità e non comune senso di osservazione, riesce a cogliere, fin dalle percezioni più profonde, il disincanto e la fame di vita di un’intera generazione, a suo modo rivoluzionaria e perciò in palese contrasto con i consueti schemi e modelli di pensiero.
Vi riesce, grazie all’uso di un registro linguistico –un argot- crudo, aspro, del tutto privo di manierismi, anzi infarcito di coloriture lessicali, alcune delle quali decisamente forti.
Anche il contesto è originale: non più la rutilante vita di città, ma la provincia ed il suo microcosmo fatto di luoghi e rituali, in cui i protagonisti decidono di esprimersi al netto di qualsivoglia freno morale (o moralistico), a trecentosessanta gradi, affidando a quella vita vissuta “pericolosamente” il loro anelito di un mondo diverso, al di là delle frustrazioni derivanti dai conformismi imposti dalla società.
Difficile ma non impossibile da raggiungere.
Tondelli, diviene così, suo malgrado, un autore di rottura, l’involontaria icona di un movimento, catalizzando però su di sé gli strali dei suoi reazionari detrattori.
Anche la sue scelte di vita, del tutto personali e private, ma non per questo segrete, restano sacrificate sull’altare dell’ortodossia di pensiero ed oggetto di ingiuste strumentalizzazioni.
Fino a giungere a quella più estrema, la più dolorosa.
Nel giorno del suo addio alla vita, nel dicembre del '91, la sua famiglia ne annuncia la dipartita per una “polmonite bilaterale”, quasi che la morte per AIDS potesse costituire un marchio infamante.
Racchiudere una personalità così così delicata e sensibile entro rigide e sterili classificazioni è ingiusto e riprovevole. Tondelli non fu uno “scrittore omosessuale ”, “un libertino che andava in paradiso dopo aver espiato le proprie colpe e affrontato la malattia da vero cristiano”.
Fu qualcos’altro.
Il suo testamento spirituale si evidenzia nelle affermazioni descrittive di sé stesso, permeate di dolce malinconia, che, con lungimiranza, quasi da preveggente, l’autore lascia pronunciare a Leo, suo alter ego, nonché protagonista del suo ultimo romanzo, del 1989, “Camere separate”: “Si sarebbe sentito in contatto con i suoi coetanei, li avrebbe cercati iscrivendosi all’università di Bologna, li avrebbe trovati solo per rendersi conto che la propria vita si sarebbe giocata in solitudine e avrebbe potuto unirsi agli altri unicamente attraverso l’esercizio solitario e distanziato di una pratica vecchia come il mondo: la scrittura. Avrebbe capito che non sarebbe mai stato un protagonista, ma un osservatore”.
Un osservatore dell’anima delle persone, dei loro moti, del bisogno di comprensione e di inclusione sociale.

