23.7.20

Specchio delle mie brame, chi è la più bella del Re@me ?

In una società iper tecnologica, i supporti informatici di cui abitualmente disponiamo con grande naturalezza aiutano a trarci d’impaccio in molteplici situazioni.

Capita a chiunque dover dire: “ma dove posso averlo già visto prima?”, riferendosi a persone o cose che in quel momento si parano innanzi alla vista, quasi con effetto déjàvu, e a risolvere l’arcano in un batter di ciglia, grazie a Google Images.

La sua ideazione nacque da un fenomeno comunicativo molto particolare, per questo rimasto nella storia.

Il 23 febbraio del 2000, partecipando alla serata di premiazione dei Grammy Award per l’annata 1999, Jennifer Lopez indossò un abito griffato Donatella Versace che catturò l’ammirazione (e non solo quella) di tanti, sia in occasione del passaggio dell’artista sul red carpet, sia quando lei salì sul palco per premiare i vincitori di una categoria (il miglior album R&B)

Si trattava di un vestito in chiffon di seta trasparente con maniche lunghe, apertura sulla schiena e scollatura profondissima fermata da una spilla all'altezza dell'ombelico che lascia scoperta la parte della gonna. Decorato con una fantasia di palmizi verdi, fu indossato dalla diva con delle culotte.

Un abito non facile considerando che lasciava esposto tutto il corpo, e in particolare la zona degli addominali.

Quel vestito –per intuibili motivi definito Jungle Dress– colpì a tal punto che Google fu intasato da un numero impressionante di ricerche tese a carpirne ogni segreto.

Gli utenti erano costretti ad utilizzare unicamente una stringa; poco efficace per i loro fini, poiché all’epoca Google esisteva solo nella versione testuale, e con una grafica a dir poco spartana.

Gli sviluppatori dell’azienda, al chiuso del Googleplex di Mountain View, colsero quindi lo spunto per elaborarne una versione ben più evoluta: Google Images.

Attraverso una ricerca per immagini, fu molto più semplice, per gli internauti, arrivare al risultato sperato.

Il Jungle Dress che -caso più unico che raro- ha una sua autonoma pagina Wikipedia, in occasione del ventennale della sua prima comparsa, ha poi fatto ritorno sulle passerelle, senza alcuna modifica.

Ed è stato indossato, manco a dirlo, con immutato successo, ancora da J. Lo; segno dell’inspiegabile vis attrattiva di cui ancora gode.

E’ quindi grazie alle peculiarità estetiche di un vestito, come pure di chi lo ha indossato, che adesso le nostre ricerche sul web sono ben più complete ed esaustive.     

Tenendo presente la Lopez, potremmo dire, a giusta ragione: un gran colpo di…fortuna.


9.7.20

Eterogenesi dei fini

Convenzionalmente, con questa espressione si indicano le conseguenze non intenzionali che sono frutto di azioni intenzionali.

    Qualcosa di diverso, concettualmente solo all’apparenza simile, ma ben più profondo ed imperscrutabile, di quella che gli anglosassoni chiamano “serendipity” (il piacevole incidente, per usare un ossimoro).

E’ sulla bocca di molti il successo planetario riscosso dal sequel di “The Last of Us”, il videogioco horror di sopravvivenza in stile avventura dinamica, a sfondo post-apocalittico, sviluppato dalla casa di produzione Naughty Dog in esclusiva per PlayStation 4.

Esso sviluppa tematiche molto “forti”, alcune purtroppo di attualità, redivive dopo il suo lancio sul mercato.

La vicenda del gioco si svolge infatti a distanza di cinque anni dagli accadimenti della prima edizione, incentrata su un gruppo di sopravvissuti ad una pandemia generata dal virus Cordyceps, un fungo parassita.

Gli orientamenti sessuali dei protagonisti, poi, hanno addirittura determinato la decisione di procedere ad una censura preventiva in alcune nazioni del Medio Oriente in cui l’omosessualità è sanzionata penalmente, in isolati paesi addirittura con la pena capitale.

Tutto ciò non ha però scoraggiato gli sviluppatori che, viceversa, non hanno minimamente modificato il format, lasciando immutato il concept, nella convinzione che ciò fosse la scelta migliore ed in aderenza all’iniziale idea ispiratrice.

E’ in tale contesto che si inserisce la vicenda di una teen ager statunitense, da lei stessa svelata via twitter.

Jiuji, questo il suo nickname, ha formulato i suoi ringraziamenti a tutto il team per essere riuscita a far accettare la sua omosessualità alla famiglia.

Il primo è stato suo cugino, che le ha spiegato come osservare la relazione tra le due protagoniste del videogioco lo avesse aiutato a comprendere più in profondità ogni aspetto di quella tematica, scusandosi della sua passata insensibilità nei suoi confronti.

Ma -dato ancor più importante- “The last of us – Part II”, ha contribuito in maniera decisiva ad aprire un’importante via comunicativa tra la ragazza ed i suoi genitori, da sempre appassionati di videogames (come lei stessa conferma in un tweet) che, proprio grazie ad esso, hanno maturato una diversa ottica nei rapporti familiari.

E non è finita.

Juiji, grazie alla scelta dei creatori, che, con assoluta naturalezza, hanno voluto dare il ruolo di protagoniste a due persone dello stesso sesso che si amano, ha visto accrescersi la sua autostima e la fiducia in sé e nel mondo che la circonda, al netto di possibili, ma irrilevanti atteggiamenti discriminatori.  

La PS4, al di là della sua precipua funzione tecnica, si è quindi dimostrato un utile tramite di avvicinamento, oltre che prezioso strumento teso all’acquisizione di una nuova e serena consapevolezza per tutti, lei compresa.

Una storia a lieto fine, protagonista quasi inconsapevole un “gioco” al passo con i tempi che, grazie alle sue dinamiche, alcune impreviste ed addirittura imprevedibili da parte dei suoi creatori, contribuisce a mettere in luce le migliori capacità –anche d’animo- di chi ne fruisce.