28.5.20

Eros e Thanatos

Quando ne “I Sepolcri”, Ugo Foscolo descriveva la “corrispondenza d’amorosi sensi”, faceva riferimento a ciò che unisce il vivo al caro estinto, così riuscendo, grazie al suo genio poetico, a cogliere quel legame profondo che, tra certe persone, va ben oltre il concetto che le umane convenzioni (e convinzioni) definiscono di vita e di morte.
Si tratta di un legame, molto simile all’empatia, ma che ne costituisce, tuttavia, la sua sublimazione.
L’empatia, nella comune accezione, è la capacità di entrare in profonda connessione con le persone, al punto da riuscire a sentirne quasi come proprie, le altrui emozioni.
Capacità che trova la sua forza, quindi, nell’amore che, seppur declinato nelle sue infinite forme, si manifesta plasticamente nell’amore romantico.
L’amore romantico evoca -in noi europei- le figure di Romeo e Giulietta e la loro comune volontà di sfidare, nel nome dell’amore, le contrarie volontà delle rispettive famiglie dandosi appuntamento, quasi con naturalezza, in una dimensione diversa dalla vita.
In un contesto mediorientale, i due amanti per eccellenza assumono il nome di Layla e Mainun.
Esistono decine di varianti letterarie tradizionali, indiane persiane ed azere; tra le tante, c’è quella che vuole Layla e Majnun che fanno conoscenza da bambini a scuola.
Majnun si innamora, corrisposto, di Layla e, per tale motivo, trascura la disciplina scolastica, suscitando la reazione del maestro che lo picchia duramente; ma anche se ad esser stato colpito è Majnun, è Layla a sanguinare per le ferite da lui riportate.
Le due famiglie, avversando la relazione, concordano di separare i due che così non hanno modo di vedersi per molto tempo.
Quando si incontrano nuovamente, il sentimento, mai sopito, non tarda a manifestarsi, ma il fratello di Layla, Tabrez, contrario alla loro frequentazione, litiga con Majnun che, pazzo di Layla, lo uccide.
Majnun viene quindi arrestato e condannato alla lapidazione; Layla, pur di salvare la vita del suo amato, sceglie di sposare un altro uomo. Majnun si vede così commutare la pena di morte in esilio.
Anni dopo, il marito di Layla, che non ha mai smesso di provare amore per Majmun, accecato dalla gelosia, cerca Majnun nel deserto e, quando lo trova, lo uccide a duello.
Ma nello stesso istante in cui il cuore di Mainun è trafitto dalla spada, Layla, perde la vita, a distanza di molte miglia, in casa sua.
I corpi di Layla e Majnun vengono deposti nel medesimo sepolcro, uno accanto all'altra per espressa volontà dei genitori di entrambi che hanno, seppur tardivamente, compreso.
Le loro anime sono già insieme in paradiso dove si si sono incontrati per amarsi per sempre.
La storia di Layla e Majnun, nell’eterno intreccio tra amore e morte, può anche essere visto in un’altra ottica, ugualmente allegorica.
Etimologicamente Layla deriva dal termine ebraico e arabo per "notte" (più propriamente sarebbe “chi lavora nottetempo”), mentre nella lingua persiana e araba, il termine Majnun significa "pazzo".
La notte è il tempo del riposo, del nascondimento dalle apparenze, mentre la follia è il sonno della ragione.
Thanatos, figlio della dea Notte, è la personificazione della morte, fratello gemello di Ipno, il dio del sonno.
Pertanto Eros, sconosciuto al raziocinio, per manifestarsi a pieno, deve necessariamente avvalersi del complice favore delle tenebre, di cui non può minimamente aver paura, perché ha imparato a procedere nell'ombra.
Foss’anche l’ombra della morte.
 

14.5.20

Metafonia


Nello sterminato mondo di You Tube, tra i tanti video caricati, vi è uno del brano "Pictures of you" del gruppo britannico “The Cure”, in cui compare il commento di una ragazza di Amsterdam che si firma Bracha; qualsiasi riflessione non può che seguire la trascrizione del testo per esteso e nella sua forma originale, in lingua inglese:

“My beautiful mum was suffering from mental illness/heavy depressions back in the eighties and took her own life in 1989 at the age of just 26, when I was only one year old.
Today I was going through her old record collection and found a little paper inside The Cure’s Disintegration album sleeve.
It was an old handwritten note by her with some drawings. Beautiful painted red and purple flowers, many little hearts with my name written a hundred times and the words: ‘there was nothing in the world that I ever wanted more than to feel you deep in my heart’.
I immediately searched on Google and found out it are words to this song.
I listened to it all morning. I got so close to my mum today because of this song. These words describe how she felt, how ill she was. How she struggled with being alive.
But it also finally tells me how much I was wanted and how much she wanted to stay with me and see me growing up. I am sure she listened to this song a thousand times.
She is my hero and she is free now.
This afternoon I visited her grave and brought her red and purple flowers.
I also gave her back her Disintegration album wrapped up in plastic, close to her where it belongs. The note is in my closet forever 7:27”.

Ed è anche così, attraverso vie inspiegabili e imprevedibili, che la musica ristabilisce un contatto -ed anzi diventa la chiave di volta- per comprendere un intero universo posto alla base di quel rapporto che è la madre di tutte le connessioni; un universo di sentimenti, spesso più forti dell’umana esistenza terrena, che una persona ha voluto affidare al testo di un canzone, alla sua melodia, certa –pur preda di sofferenza- che chi doveva comprenderlo avrebbe avuto modo di raccogliere e farsene testimone con amorevole stupore ed in filiale riconoscenza.

The note is in my closet forever 7:27