Quando ne “I Sepolcri”, Ugo
Foscolo descriveva la “corrispondenza
d’amorosi sensi”, faceva riferimento a ciò che unisce il vivo al caro estinto,
così riuscendo, grazie al suo genio poetico, a cogliere quel legame profondo
che, tra certe persone, va ben oltre il concetto che le umane convenzioni (e
convinzioni) definiscono di vita e di morte.
Si tratta
di un legame, molto simile all’empatia, ma che ne costituisce, tuttavia, la sua
sublimazione.
L’empatia,
nella comune accezione, è la capacità di entrare in profonda connessione con le
persone, al punto da riuscire a sentirne quasi come proprie, le altrui emozioni.
Capacità
che trova la sua forza, quindi, nell’amore che, seppur declinato nelle sue
infinite forme, si manifesta plasticamente nell’amore romantico.
L’amore
romantico evoca -in noi europei- le figure di Romeo e Giulietta e la loro comune
volontà di sfidare, nel nome dell’amore, le contrarie volontà delle rispettive
famiglie dandosi appuntamento, quasi con naturalezza, in una dimensione diversa
dalla vita.
In un
contesto mediorientale, i due amanti per eccellenza assumono il nome di Layla e
Mainun.
Esistono
decine di varianti letterarie tradizionali, indiane persiane ed azere; tra le
tante, c’è quella che vuole Layla e Majnun che fanno conoscenza da bambini a
scuola.
Majnun si
innamora, corrisposto, di Layla e, per tale motivo, trascura la disciplina
scolastica, suscitando la reazione del maestro che lo picchia duramente; ma
anche se ad esser stato colpito è Majnun, è Layla a sanguinare per le ferite da
lui riportate.
Le due famiglie,
avversando la relazione, concordano di separare i due che così non hanno modo
di vedersi per molto tempo.
Quando si
incontrano nuovamente, il sentimento, mai sopito, non tarda a manifestarsi, ma
il fratello di Layla, Tabrez, contrario alla loro frequentazione, litiga con
Majnun che, pazzo di Layla, lo uccide.
Majnun viene
quindi arrestato e condannato alla lapidazione; Layla, pur di salvare la vita
del suo amato, sceglie di sposare un altro uomo. Majnun si vede così commutare
la pena di morte in esilio.
Anni dopo,
il marito di Layla, che non ha mai smesso di provare amore per Majmun, accecato
dalla gelosia, cerca Majnun nel deserto e, quando lo trova, lo uccide a duello.
Ma nello
stesso istante in cui il cuore di Mainun è trafitto dalla spada, Layla, perde
la vita, a distanza di molte miglia, in casa sua.
I corpi di
Layla e Majnun vengono deposti nel medesimo sepolcro, uno accanto all'altra per
espressa volontà dei genitori di entrambi che hanno, seppur tardivamente, compreso.
Le loro
anime sono già insieme in paradiso dove si si sono incontrati per amarsi per
sempre.
La storia
di Layla e Majnun, nell’eterno intreccio tra amore e morte, può anche essere
visto in un’altra ottica, ugualmente allegorica.
Etimologicamente Layla deriva
dal termine ebraico e arabo per "notte" (più
propriamente sarebbe “chi lavora nottetempo”), mentre nella lingua
persiana e araba, il termine Majnun significa
"pazzo".
La notte è
il tempo del riposo, del nascondimento dalle apparenze, mentre la follia è il
sonno della ragione.
Thanatos,
figlio della dea Notte, è la personificazione della morte, fratello gemello di Ipno,
il dio del sonno.
Pertanto Eros,
sconosciuto al raziocinio, per manifestarsi a pieno, deve necessariamente avvalersi
del complice favore delle tenebre, di cui non può minimamente aver paura, perché
ha imparato a procedere nell'ombra.
Foss’anche l’ombra
della morte.

