Si è soliti
definire il nostro Belpaese, come la terra dei mille campanili, espressione di
un’umanità semplice e variegata al tempo stesso.
L’iconografia che plasticamente ci riporta a questa metafora è
naturalmente legata a ciò che il campanile rappresenta: un luogo di raccolta di
tante persone che avviene grazie al suono di uno strumento a noi assolutamente
familiare: la campana.
Sull’origine, anche etimologica del termine, non vi è dubbio alcuno; pur
riscontrandosi la sua presenza nell’antico Oriente circa cinquemila anni prima
di Cristo, la campana, come noi oggi la concepiamo, fu descritta da S. Paolino
da Nola, che ne introduce il concetto relativamente alla produzione, da
utilizzare in campo religioso, dei cosiddetta “Vasa campana” in bronzo (letteralmente
“vasi di bronzo di origine della Campania”).
Tuttavia, al netto di interessanti e stimolanti ricerche sulle origini
dello strumento, val piuttosto la pena soffermarsi su ciò che il suono di una
campana può rappresentare per ognuno di noi.
E’ innegabile che ogni persona possa legare un ricordo della sua
esistenza, bello o brutto non importa, a dei rintocchi di campana.
Personalmente, mi sovviene il giorno della mia laurea, sul finire del
mese di marzo di venticinque anni fa; il suono delle campane che chiamavano a
raccolta i fedeli di una Chiesa, fisicamente contigua all'edificio che ospitava
l’università, nell'esatto momento della proclamazione.
Ciò induce, conseguenzialmente un altro spunto di riflessione, legato
alla sua poliforme capacità comunicativa.
Se, infatti, la campana, in epoche più risalenti, ma ancor oggi, in
termini tradizionali, si è esplicata come forma comunicativa, per così dire
esterna”, vale a dire ha facilitato la comunicazione tra più persone di un dato
o un evento, sviluppando la condivisione tra soggetti fisicamente distanti tra
loro e veicolando messaggi di varia natura, è altrettanto interessante
soffermarsi su quanto la campana, il suo suono, le sue vibrazioni, possa introdurre
e facilitare una via comunicativa, per così dire, interna.
Sono innumerevoli e scientificamente validati studi sugli effetti della
cosiddetta “suono terapia” che operano direttamente e quasi esclusivamente nel
foro interno del suo ascoltatore.
Stiamo parlando di strumenti che, seppur fisicamente differenti, nella
forma fisica, alla campana come istintivamente siamo portati ad immaginarla, ne
sono del tutto analoghi poiché producono suoni acusticamente accostabili.
La campana tibetana, o il gong, le cui onde sonore sono del tutto
assimilabili a quelle della campana tradizionale, recano un messaggio ontologicamente
differente; alcuni addirittura le accostano ad una forma di yoga del suono.
Ecco quindi che uno strumento, di antichissima origine, si rivela a sua
volta capace di far vibrare le corde del suo uditore –di renderlo esso stesso
uno strumento- sia dall’interno, che dall’interno.

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