2.4.20

Per chi suona la campana


Si è soliti definire il nostro Belpaese, come la terra dei mille campanili, espressione di un’umanità semplice e variegata al tempo stesso.
L’iconografia che plasticamente ci riporta a questa metafora è naturalmente legata a ciò che il campanile rappresenta: un luogo di raccolta di tante persone che avviene grazie al suono di uno strumento a noi assolutamente familiare: la campana.
Sull’origine, anche etimologica del termine, non vi è dubbio alcuno; pur riscontrandosi la sua presenza nell’antico Oriente circa cinquemila anni prima di Cristo, la campana, come noi oggi la concepiamo, fu descritta da S. Paolino da Nola, che ne introduce il concetto relativamente alla produzione, da utilizzare in campo religioso, dei cosiddetta “Vasa campana” in bronzo (letteralmente “vasi di bronzo di origine della Campania”).
Tuttavia, al netto di interessanti e stimolanti ricerche sulle origini dello strumento, val piuttosto la pena soffermarsi su ciò che il suono di una campana può rappresentare per ognuno di noi.
E’ innegabile che ogni persona possa legare un ricordo della sua esistenza, bello o brutto non importa, a dei rintocchi di campana.
Personalmente, mi sovviene il giorno della mia laurea, sul finire del mese di marzo di venticinque anni fa; il suono delle campane che chiamavano a raccolta i fedeli di una Chiesa, fisicamente contigua all'edificio che ospitava l’università, nell'esatto momento della proclamazione.
Ciò induce, conseguenzialmente un altro spunto di riflessione, legato alla sua poliforme capacità comunicativa.
Se, infatti, la campana, in epoche più risalenti, ma ancor oggi, in termini tradizionali, si è esplicata come forma comunicativa, per così dire esterna”, vale a dire ha facilitato la comunicazione tra più persone di un dato o un evento, sviluppando la condivisione tra soggetti fisicamente distanti tra loro e veicolando messaggi di varia natura, è altrettanto interessante soffermarsi su quanto la campana, il suo suono, le sue vibrazioni, possa introdurre e facilitare una via comunicativa, per così dire, interna.
Sono innumerevoli e scientificamente validati studi sugli effetti della cosiddetta “suono terapia” che operano direttamente e quasi esclusivamente nel foro interno del suo ascoltatore.
Stiamo parlando di strumenti che, seppur fisicamente differenti, nella forma fisica, alla campana come istintivamente siamo portati ad immaginarla, ne sono del tutto analoghi poiché producono suoni acusticamente accostabili.
La campana tibetana, o il gong, le cui onde sonore sono del tutto assimilabili a quelle della campana tradizionale, recano un messaggio ontologicamente differente; alcuni addirittura le accostano ad una forma di yoga del suono.
Ecco quindi che uno strumento, di antichissima origine, si rivela a sua volta capace di far vibrare le corde del suo uditore –di renderlo esso stesso uno strumento- sia dall’interno, che dall’interno.

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