I segnali di fumo
sono sicuramente tra le più antiche forme di comunicazione, affondando nella notte
dei tempi, tant’è che se ne dà per certo l’utilizzo da parte dello storico greco
Polibio e si rinvengono testimonianze tra i Guardiani della Grande Muraglia che
così riuscivano a connettersi anche a grandi distanze.
La notevole
produzione cinematografica o fumettistica però associa tale tecnica, per quanto
semplice ma frutto di consolidata perizia, agli indiani.
Si dava fuoco a
stoppie (o a del molto più prosaico sterco di bisonte) ravvivando il focolaio
con erba ancora verde, immediatamente ricoprendolo per intero con delle
coperte, salvo poi scoprirlo per far sì che si potessero levare altissime e
sottili colonne di fumo o morbide nuvolette.
Le dimensioni erano
determinate dal tempo e dalle modalità di rilascio della superfice coprente.
Il “telegrafo degli indiani”, per ovvi
motivi, in uso unicamente nelle ore diurne, aveva la sua indubbia utilità,
atteso che poteva essere scorto a distanze ragguardevoli da un occhio esperto. E
ciò spesso valeva a salvar loro la vita, perché normalmente avvisava della
presenza del nemico.
E chi se non, manco a
dirlo, i soldati bianchi, quelli “buoni” (quelli del Generale Custer, sterminatori
di bisonti e non solo)?
Esso nasceva comunque
da una esigenza pratica.
Il ragguardevole
numero di dialetti in uso non consentiva dialoghi efficaci tra appartenenti a
tribù diverse, tant’è che per comunicare a distanze ravvicinate essi utilizzavano
un articolatissimo linguaggio dei segni, mentre affidavano al vento ed alla
natura quei pensieri capaci di unire persone sconosciute e distanti anche molti
chilometri.

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