Il
filosofo greco Teofrasto intorno al 310 a.C. fu il primo a spedire un messaggio
in bottiglia, per provare che il mar Mediterraneo fosse formato dall’afflusso
delle acque dell’Atlantico.
A
prescindere da qualsivoglia finalità scientifica, il messaggio in bottiglia ha
sempre rappresentato un topos,
magnificato nell’arte, nella letteratura, al cinema, come in musica: sto
pensando ad Edgar Allan Poe (Il manoscritto trovato in una bottiglia - 1831) e
Jules Verne (I figli del capitano Grant – 1868), al film “Le parole che non ti ho detto” con Kevin Costner che è incentrato
su una love story nata da una lettera in una bottiglia ritrovata per caso su
una spiaggia ed al gruppo dei “Police” che ci scrisse addirittura una canzone
di successo.
La storia ci ha regalato
significative storie, molto spesso legate ad eventi drammatici.
Un gesto dunque anacronistico? Tutt’altro, poichè, al giorno d’oggi il messaggio, una
volta affidato al mare in senso fisico, è funzionale o, mutatis mutandis, si trasfigura in quel mare magnum che è il web.
Nel primo caso è sintomatico il caso
di Max Vredenburgh, studente del Massachusetts che a, 10 anni, aveva affidato a
una bottiglia e al mare di Long Beach, cittadina di Rockport, a nord di Boston,
nell'agosto del 2010 un messaggio, sperando di ottenere una risposta. Che
arrivò nove anni dopo quando era studente universitario, con una lettera di un
tal G. Dubois che aveva trovato la bottiglia su una spiaggia sulla costa
atlantica nel sud della Francia. Il giovane studente statunitense pubblicò poi
le foto di quella lettera di risposta su Twitter (retwittata più di 136mila
volte).
Qualcuno scrisse tra i commenti: “Penso che tutto accada per una ragione”.
Nel secondo caso, i c.d. fenomeni
virali, sono piuttosto ricorrenti.
Tra
i più noti, quello con hashtag #RitroviamoCiccio, una vera e propria
mobilitazione social alla ricerca del peluche del bimbo perso sul treno.
Nacque nel luglio di quest’anno da
un tweet di un’esperta di design, Chiara Alessi, in cui si chiedeva una mano
per ritrovare il pupazzo di pezza del figlioletto, il peluche Ciccio, perso
durante un viaggio in treno. In breve circa 1500 persone risposero all’appello,
cui non rimase insensibile neanche Trenitalia.
E se anche il risultato finale,
nonostante i molti sforzi profusi, non fu quello sperato, la stessa Chiara
commentò che, probabilmente era destino che Ciccio dovesse andare, ma che tutta
la vicenda aveva insegnato come una semplice bambola di pezza, unita ad una
richiesta d’aiuto aveva avuto la capacità di smuovere 1500 persone. uniti dalla
solidarietà e dalla malcelata voglia di raggiungere un lieto fine.
Ma
ancor più significativa, forse, è la storia di “bottle man”, al secolo Harold Hackett, un signore canadese di 62
anni che, nell'epoca dei social network e dei canali televisivi interattivi, è
riuscito a dimostrare quanto possa essere al pari efficace come strumento di
comunicazione il messaggio nella bottiglia abbandonato tra le onde.
A
partire dal maggio del 1996 Hackett ha liberato nelle acque dell'Atlantico migliaia
di bottiglie contenenti un messaggio, ottenendone risposte prodigiosamente
provenienti da tutto il mondo: Africa, Russia, Regno Unito, Scozia, Francia, Bahamas...
E
per rendere il suo esperimento assolutamente analogico, Hackett non ha inserito
nei suoi messaggi nè il suo numero di telefono nè il suo indirizzo e-mail, ma
solo quello postale. In questo modo si è assicurato che tutte le risposte gli
arrivassero per lettera.
Ogni
bottiglia è numerata, così Harold sa a quale dei suoi messaggi si riferisce la
risposta: alcune bottiglie sono state in balia delle onde per più di 13 anni
prima di essere trovate da qualcuno.
Tutto nacque un giorno in cui,
intento in compagnia del cognato a pescar tonni, Hackett pensò di ingannar
l’attesa con del succo di mirtillo, mettendo poi all’interno della bottiglia
vuota un bigliettino bianco con il suo indirizzo e gettando in acqua la
bottiglia, sigillata con del nastro isolante.
Ricevette
tre mesi dopo, una lettera di risposta dalle Isole Maddalena e decise di
rispondere ad ogni lettera ricevuta da chi avesse trovato i suoi messaggi in bottiglia,
sparsi random un po' ovunque nel modo sopra descritto.
Il
gran numero di bottiglie liberate in acqua gli costò anche la minaccia di
sanzioni legali, tant’è che qualche benpensante consigliò, per quieto vivere, di
procurarsi un computer onde continuare nella sua “attività”.
Harold
non lo fece mai, poiché apprezzava le vibrazioni che percepiva avvicinandosi
alla sua cassetta postale in presenza di una lettera di risposta.
Ed
un bel giorno bussò alla porta della sua abitazione, sita nell’Isola del
Principe Edoardo, la più piccola provincia del Canada, una coppia olandese che era
giunta a fargli visita, raggiungendo con il proprio camper quel puntino lontano
sulla cartina geografica, probabilmente sconosciuto prima di allora.
Penso proprio che tutto
accada per una ragione.

