Nelle città, tra un semaforo e una finestra accesa, circolano storie che nessuno ha mai davvero confermato, ma che tutti conoscono. Le chiamano leggende metropolitane, come se fossero fiabe moderne per anime cresciute troppo in fretta. Ma a ben guardare, non sono favole. Sono verità non documentate. Eppure, così testarde da non scomparire.
Sono le storie che qualcuno ha sentito raccontare da un amico, “che conosceva uno che c’era”. Quelle che si sussurrano nelle notti d’autunno, o che ritornano a galla quando ci si perde tra i rumori di una città in dormiveglia.
A Roma, c’è chi giura di aver visto l’anima del Marchese del Grillo salire i gradini di Palazzo Madama, ridendo ancora delle sue beffe. A Milano, nei sottopassi della stazione Centrale, si racconta di un uomo in impermeabile che offre ai passanti un biglietto del treno verso una città che non esiste più.
Ci sono anche storie più recenti, nate negli anni delle autostrade e degli ascensori, delle periferie e dei centri commerciali. La ragazza in abito bianco che chiede un passaggio e poi sparisce all’improvviso sul sedile posteriore. Il bambino che svanisce nel nulla mentre la madre compra il latte, e che si dice venga trovato, anni dopo, a pochi isolati da lì. Il killer nascosto nel sedile posteriore dell’auto, svelato solo dal riflesso negli specchietti.
E ancora: i topi giganti nelle fogne, i cani tosati e rivenduti come leoni da circo. Storie che cambiano luogo ma non forma, si adattano alla città come un profumo dimenticato nei portoni, tornano a bussare quando meno te lo aspetti.
Queste leggende non nascono per caso. Non vengono da lontano, ma da sotto. Dal fondo dei marciapiedi, dai muri scrostati, dalle finestre chiuse con cura. Sono memorie non registrate, racconti che nessuno ha mai scritto ma che si passano di voce in voce, come biglietti piegati e infilati tra le dita.
Spesso sono solo un nome, un gesto, un dettaglio che ritorna: una mano guantata, un uomo che si siede sempre allo stesso tavolo e parla con qualcuno che non c’è, una donna che sorride in metropolitana e poi svanisce alla stazione sbagliata.
E allora ti chiedi: è successo davvero?
Ma forse è la domanda sbagliata.
Perché le leggende urbane non chiedono di essere credute, chiedono solo di essere ascoltate.
Esistono perché parlano di qualcosa che tutti abbiamo sentito almeno una volta: l’eco di un incontro sfiorato, l’intuizione che ci sia qualcosa oltre quello che vediamo.
Una connessione invisibile, un passaggio tra chi siamo e chi avremmo potuto essere. Tra chi abbiamo perso, e chi forse non ha mai smesso di cercarci.
Sono storie che resistono al tempo perché non hanno bisogno di prova, solo di presenza.
E come certi amori non vissuti, restano veri proprio perché non sono accaduti del tutto.






