21.10.21

Non si giudica un libro dalla copertina

Nel 2000, a Copenaghen, ad opera di Ronni Abergel, di suo fratello Dany e degli amici Asma Mouna e Christoffer Erichsen, vede la luce un’iniziativa dal nome “Human Library”.

       L’idea di fondo che la caratterizza è che un pre-giudizio, ricorrentemente, può influenzare il concetto su ciò che si manifesta.

Si tratta di una biblioteca del tutto particolare, al cui interno non vi trovano materiale accoglienza libri cartacei, bensì persone; in carne, ossa e -soprattutto- anima.

         Ognuna di esse, al pari dei libri tradizionali, reca un titolo che riassume ciò che li caratterizza secondo un’etichetta: "disoccupato", "rifugiato", "bipolare”, “ragazzo gay”, “senzatetto”, “nudista”, “donna islamica”.

Il lettore può decidere di consultarne uno, conversandovici per circa mezz’ora ed avendo cura, preferibilmente, di scegliere quello più lontano dalla propria sensibilità e dalle proprie costruzioni mentali.

Nel far ciò, deve assumere a parametro il “titolo” del libro che ha dinanzi a sé.

Quel che ne segue è sorprendente, perlomeno agli occhi dei più.

Il rapporto che si viene a creare tra “lettore” e “libro”, lasciando fluire liberamente la comunicazione tra i due, ben presto rafforza e sostanzia l’idea che ciò che unisce è assai più di quello che -a torto- può essere causa di differenziazioni.

E che sia quanto mai opportuno mettere da parte i pregiudizi e sperimentare un’esperienza di prima persona, senza cedere ad affrettati stereotipi condizionanti.

Non a caso, il Consiglio d’Europa, dal 2003 riconosce l’Human Library come buona prassi, favorendo l’organizzazione di eventi sulla falsariga del tema della biblioteca, a prescindere dalla fisicità del luogo ad esso deputato.

            La preferibile risposta di comunicazione, reciproca comprensione e condivisione che si contrappone alla cieca intolleranza.